Il diario del viaggio della Memoria maggio 2019


 

L’istituto Calamandrei al “Viaggio della memoria 2019” della Città Metropolitana di Firenze.

Anche l’Istituto Calamandrei di Sesto Fiorentino ha partecipato – insieme ad altre sei scuole superiori di Firenze e provincia – al viaggio che ogni anno la Città Metropolitana organizza, portando sette studenti scelti in base alla graduatoria interna elaborata in autunno.

La partenza è fissata alle sei del 2 maggio in direzione Monaco. Il programma infatti prevedeva la visita ai campi di concentramento di Dachau nei dintorni di Monaco e di Mauthausen in Austria; un fitto calendario di impegni supportato anche da approfondimenti in pullman e in albergo.

Nel viaggio ad ogni partecipante è stata consegnata una scheda di un deportato, del quale si viene a sapere l’età, il luogo di nascita, qualcosa sulla vita e sulla cattura, ma non se morirà nel campo o tornerà a casa. Lo vedremo al ritorno.

Dachau

È stato il primo campo aperto dal regime nazista, addirittura poche settimane dopo la presa del potere di Hitler, ovvero nel marzo 1933.

È qui che è stato messo a punto “il sistema”, poiché proprio la razionalità del sistema di sterminio è uno degli elementi su cui il direttore dell’Istituto Storico della resistenza e dell’età contemporanea Matteo Mazzoni ha insistito di più nel corso delle sue spiegazioni.

A Dachau portarono i prigionieri politici, poi i malati, poi i criminali, poi sinti e rom, poi omosessuali e testimoni di Geova... solo tedeschi fino al 1938. Con l’invasione arrivano anche stranieri; di ben 30 nazionalità diverse, a cui si aggiunsero gli italiani dal ‘43 in poi. Prigionieri politici, non ebrei. Che se la passarono peggio di tutti; invisi agli altri detenuti perché alleati dei tedeschi e aggressori, odiati dai tedeschi perché traditori. Morivano più degli altri, addirittura al cinquanta per cento delle centinaia di morti al giorno. Questo tenendo conto che Dachau non era per sterminare, era un campo di lavoro, o meglio: un campo di sterminio tramite il lavoro. Una certa destra estrema si appoggia ad uno squallido revisionismo per negare l’esistenza delle camere a gas e dei forni crematori. È terrificante, ma vedere gli originali rimasti (non fecero in tempo a distruggerli) è necessario: purtroppo c’è ancora bisogno di andare a vederle certe cose. E magari anche piangere, come è successo a molti di noi, nell’ascoltare i tragici racconti delle sevizie e delle torture e dell’agghiacciante disumanità vissute proprio in quelle stanze.

Per finire la bravissima guida ci ha lasciato con una storia di luce - in una mattina plumbea, fredda e umida. Uno dei giovani tedeschi dell’organizzazione antinazista “Rosa Bianca” viene arrestato e condannato a morte. Nell’attesa scrive alla sorella più o meno con queste parole: “nonostante tutto la vita è bella e vale sempre la pena di essere vissuta. Purtroppo non tutti ascoltano il proprio cuore e l'umanità si perde. Ci vorrebbe solo questo, più cuore” (per accettare diversità e avversità).

Ebensee e Mauthausen

Giornata intensa tra Ebensee (gallerie e mausoleo) e Mauthausen. In parte solito carico d’angoscia per le tante storie tragiche che ci piovono addosso, in parte alcune note di curiosità sul comportamento degli abitanti del posto e sulla sconcertante gestione della memoria storica.

Per quanto possa apparire sorprendente, gli austriaci hanno cercato di cancellare ogni memoria di Ebensee. Smantellato il campo. hanno ceduto il terreno a prezzo simbolico per costruirci un villaggio di villette. Il mausoleo è lì per iniziativa della figlia di una vittima che ha fatto comprare il lotto di terreno; è solo grazie a lei, quindi, se oggi i migliaia di morti del campo hanno almeno la dignità della memoria. Ebensee, così come Gusen (visitato domenica mattina), è circondato da deliziose villette con giardino costruite in parte dove sorgeva il campo e comunque con “vista mausoleo”; un contrasto da brividi!

La partecipazione alla manifestazione internazionale di domenica, nell’anniversario della liberazione di Mauthausen, ci ha un po’ rinfrancato: fa bene vedere gente da tutto il mondo unita e determinata ad evitare che tutto questo sia dimenticato o, peggio! ripetuto.

Risiera di San Sabba

Come immaginato si torna diversi da come siamo partiti. Lo si capisce anche dal discorso pubblico che ogni scuola ha fatto alla cerimonia della Risiera di San Sabba a Trieste. In questa occasione abbiamo ascoltato con grande emozione, e il solito impasto di rabbia, compassione e frustrazione, le parole del figlio di Carlo Castellani calciatore dell’Empoli inviato senza alcun motivo a Ebensee e morto lì per la disperazione dei figli e della moglie; “piansi tanto”ci ha detto con le lacrime agli occhi.

Non basta solo l’emozione, e allora è bene sapere che la responsabilità del Fascismo è stata decisiva per le deportazione degli italiani; come nel caso di Castellani erano quasi sempre i fascisti ad arrestare e consegnare oppositori, ebrei (e talvolta persone qualunque) alle SS.

Infine riportiamo un estratto del discorso degli alunni del Calamandrei alla Risiera di San Sabba a Trieste.

“Alla fine di questo cammino ci sentiamo in grado di testimoniare perché rimasti provati dai luoghi di questo terrore. Abbiamo pianto per tutte le vittime dei campi, per tutti gli uomini, le donne e i bambini, che per il semplice motivo di esistere sono stati rinchiusi in questi posti terrificanti (…) abbiamo pianto per le condizioni improponibili in cui hanno vissuto e che li hanno trascinati fino alla morte; abbiamo pianto per il freddo, la fame e le fatiche che non possiamo nemmeno immaginare; abbiamo pianto per la libertà che è stata rubata e per la dignità che è stata annientata.

Ed oggi, qui, le nostre lacrime vanno ad ognuna di queste persone, anche se le lacrime non sono abbastanza per colmare questo vuoto.

“Ciò che i nostri occhi vedono, il cuore non dimentichi” abbiamo letto da qualche parte, su una tomba o in una scritta di ricordo… e ricordare è il nostro unico privilegio.”

Al ritorno riceviamo la scheda completa dei deportati a cui siamo stati “abbinati”; di 61 deportati sono tornati a casa in 12; una percentuale in linea con quella generale dei campi di lavoro. Ci salutiamo nel tardo pomeriggio del 6 maggio, stanchi ma “carichi”, consapevoli di aver compiuto un viaggio importante che lascerà il segno.

                                                                      Prof. David Mugnai

Il diario del viaggio della Memoria maggio 2019